Published on Novembre 15th, 2014 | by Il Birrafondaio
0Aumento accise, Unionbirrai: Escludere microbirrifici sarebbe segnale importante a basso conto per lo Stato
Il prossimo aumento dell’accisa sulla birra, previsto a partire dal primo gennaio del 2015, è uno dei temi più caldi per gli operatori del settore. Tra meno di due mesi, denuncia AssoBirra, la pressione fiscale su ogni bicchiere di birra raggiungerà quasi il cinquanta per cento, con una aumento di circa il 30% in 15 mesi. Una situazione che, sostengono i birrai, avrà effetti deleteri sui consumi e sull’occupazione.
Come si calcola questa tassa a carico dei produttori?
Il conto è presto fatto: basta moltiplicare l’aliquota ( che a gennaio arriverà a 2,99 euro) per gli ettolitri prodotti e per il rispettivo Grado Plato (ovvero il livello di densità di zuccheri disciolti nel mosto).
Di questo tema abbiamo discusso con Simone Monetti, direttore operativo di Unionbirrai, l’associazione che raccoglie la maggior parte dei birrifici artigianali in Italia e che sulla questione ha un’idea diversa rispetto all’organizzazione confindustriale.
Monetti parte da una constatazione: la grandissima maggioranza dei produttori italiani è composta da microbirrifici. Piccole o piccolissime realtà con un volume produttivo che nel 90% dei casi è inferiore ai 600 ettolitri all’anno, pochi rispetto a milioni di ettolitri prodotti dai colossi del settore che dominano il mercato.
“In un’ottica generale – spiega – credo che un aumento delle accise, che erano ferme dal 2006 a 2,35 euro, ci possa stare. D’altro canto l’impennata dell’accisa alla quale stiamo assistendo non è facile da digerire, così come è ovvio che qualsiasi aumento della pressione fiscale, in un Paese come il nostro in cui è già altissima, sia un ulteriore peso sulle spalle dei produttori. Sono convinto però che la cosa più importante sia quella di fare delle distinzioni, così come accade nella maggior parte dei Paesi europei. Al contrario di quanto si verifica nel 75% dei casi nel resto del continente , in Italia non esiste una differenza di trattamento tra le realtà industriali più importanti e i piccoli o micro birrifici. In quasi tutta l’Europa chi produce meno di 200mila ettolitri l’anno, è agevolato con sgravi fino al 50%. La nostra media produttiva per le realtà artigianali è di 600 ettolitri, quindi praticamente tutti potrebbero fruire di questo tipo di agevolazioni. I Paesi che hanno delle soglie modulate diversamente, come la Germania, riducono il limite a 40mila ettolitri, ma per chi è sotto i cinquemila, come il 90% dei microbirrifici italiani, l’accisa è dimezzata. Questo significherebbe, nel nostro Paese, pagare un euro e mezzo invece che tre. E c’è una bella differenza”.
Sull’importanza di rivedere, in un’ottica più generale, l’insieme di norme e regole che caratterizzano il settore della birra, il direttore operativo di Unionbirrai ha un’idea chiara:
“Se si considera un valore la capacità di avere un forte legame con il tessuto economico, sociale e produttivo di un territorio, pur producendo poco come molti dei microbirrifici,allora questo valore deve essere riconosciuto. Bisogna che queste realtà siano messe in condizione di poter operare al meglio. Per questo ritengo che sia necessario lavorare, e noi lo stiamo già facendo, a una proposta di legge che riveda in maniera trasversale il settore. Intervenendo un pezzo alla volta su tutti gli elementi normativi e ricostruendoli in maniera più armonica, in un corpo unico, per creare un contesto che dal punto di vista burocratico, dei permessi, dei controlli, delle analisi e fiscale crei un terreno favorevole a queste realtà produttive. Come del resto accade in tre Paesi su quattro in Europa”.
“Una classifica teorica della pressione fiscale sui piccoli produttori – insiste Monetti – ci vede al quinto posto tra i Paesi in cui si paga di più e le nazioni che ci precedono, come Danimarca, Svezia e Norvegia, hanno adottato politiche molto rigide per contrastare il fenomeno dell’alcolismo, fenomeno che da noi, dove i consumi di birra sono tra i più bassi d’Europa, non è un fattore rilevante. Se non aumenta l’accisa è ovvio che siamo tutti più contenti e, in generale, io credo che l’aumento della pressione fiscale non sia mai un fatto positivo. Non sono tra quelli che suggeriscono di alzare le tasse degli altri prodotti che godono di una fiscalità meno pesante,, come il vino, né vorrei che i grandi produttori pagassero il doppio. Allo stesso tempo sono convinto che sia importante dare una mano anche ai piccoli, perché abbiamo le caratteristiche per meritare un aiuto”.
Non è solo una risposta ad un problema di tipo economico fiscale, quella che ci si aspetta dalla classe dirigente, dunque, ma piuttosto la volontà di tracciare una linea nelle politiche di settore. La scelta di favorire chi fa dell’apporto “umano” al suo prodotto, dell’attenzione e della passione, un aspetto determinante. A partire dalla questione fiscale.
“Se facciamo un calcolo sommario, la riduzione del 50% delle accise per i microbirrifici comporterebbe una perdita di entrate per l’Erario di circa sette milioni di euro. Compensata, dal nostro punto di vista, da tutte le altre entrate che sicuramente proverrebbero anche da una semplificazione burocratica che ci consentirebbe una maggiore competitività e favorirebbe un aumento della produzione. Si tratta di una cifra risibile nell’ambito di un bilancio pubblico ma un intervento in questo senso avrebbe un grande significato politico e culturale”.