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Published on Luglio 30th, 2015 | by Il Birrafondaio

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I numeri della birra 2014, Report Assobirra: consumi sostanzialmente piatti ma aumentano produzione ed export. Cresce il numero dei microbirrifici

 

I consumi di birra in Italia rimangono sostanzialmente invariati da anni e il 2014 non ha segnato un cambio di tendenza. Il settore però cresce, almeno in termini di volume, e guarda con sempre più attenzione al mercato estero. Questi in sintesi i numeri del mondo brassicolo nel nostro Paese secondo il Report 2014 di AssoBirra diffuse oggi.

Come detto i consumi rimangono stabili, ma registrano comunque una crescita dell’1% (si passa da 17.544.000 a 17.729.000 ettolitri), mentre la produzione cresce del 2% raggiungendo i 13.521.000 ettolitri.

Significativo anche il +3,5% dell’export (per un totale di 1.995.000 ettolitri esportati), grazie anche all’importante ruolo del mercato Ue che ha assorbito 1,67 milioni di ettolitri (pari al 76,2% del totale). Dall’altro lato, però, le importazioni di birra non hanno registrato scostamenti significativi rispetto ai due anni precedenti, attestandosi sull’elevato valore di 6.203.000 ettolitri (-0,2% rispetto al 2013 e +0,8% sul 2012).

Sul fronte dell’occupazione poche variazioni rispetto all’anno precedente: siamo a 136.000 unità, fra addetti diretti (4.950), indiretti (17.200) e indotto allargato (113.850).

In ambito europeo l’Italia rimane il fanalino di coda a livello di consumi pro capite, con 29,2 litri. Il podio dei bevitori di birra vede al primo posto la Repubblica Ceca con oltre 144 litri, seguita da Germania e Austria, entrambe sopra i 100 litri.

A livello di produzione il nostro Paese non va oltre il decimo posto con il 3,4% del totale, mentre la Germania, da sola, rappresenta oltre il 24%.

E il settore artigianale? Secondo AssoBirra si registra un forte rallentamento nelle nuove aperture di microbirrifici e brewpub, che nel complesso arrivano comunque a quota 585, quasi cento più dello scorso anno. Questo esercito di piccoli e piccolissimi produce 378mila ettolitri di birra, ovvero poco meno del tre per cento del totale nazionale. Lombardia, Piemonte e Toscana continuano ad essere le Regioni più “popolate” da microbirrifici e brewpub. Dall’analisi di AssoBirra rimangono però fuori le beerfirm, che rappresentano una quota sempre più importante delle nuove aperture.

Il numero dei “micro”, si legge nella nota che accompagna il report, dopo essere più che raddoppiato fra il 2010 e il 2014 (passando da 186 a 443), quest’anno ha visto un andamento sostanzialmente stabile tra nuove aperture e chiusure registrate fino alla prima metà del 2015.

Sull’andamento generale del settore ecco l’analisi del presidente di AssoBirra Alberto Frausin, che torna a battere sul nervo scoperto della pressione fiscale: “Ancora una volta, sia per la crisi economica che per la sempre crescente pressione fiscale, registriamo consumi sostanzialmente piatti. Eppure, il settore birrario continua a produrre ricchezza, occupazione e imprenditorialità, generando un valore aggiunto complessivo pari a circa 3,2 miliardi di euro (di cui 2,4 provenienti dalla sola ospitalità) e portando nelle casse dello Stato circa 4 miliardi di euro tra accise, Iva, imposte sui redditi e sui salari, contributi sociali nel settore birrario e proveniente da settori collegati, come l’acquisto di circa 1 miliardo di euro in beni e servizi, in particolare dal settore dell’agricoltura (100 milioni di euro), dall’industria del packaging (400 milioni), e 150 milioni in altri servizi. Il forte aumento delle accise (+30% in 15 mesi), però, ha limitato la capacità di investimento delle aziende del settore, che negli ultimi mesi hanno visto calare il numero di nuove aperture di birrifici, ostacolando anche la creazione di nuovi posti di lavoro. Nonostante questa situazione, il settore birrario continua a rappresentare una parte significativa del Made in Italy alimentare, che costituisce il secondo comparto industriale del Paese dopo l’elettromeccanica”.

Sul tema delle accise il direttore di AssoBirra Filippo Terzaghi a sottolineato: ““In soli 15 mesi hanno subito tre aumenti – ad ottobre 2013, gennaio 2014 e gennaio 2015 – che ne hanno portato il valore dagli iniziali 28,2 a 35,6 euro per ettolitro: +30%. Oggi su una birra da 66 cl (il formato più venduto in Italia), comprata al supermercato al prezzo di 1 euro, il consumatore paga 46 centesimi di tasse fra accise e Iva; in altre parole, quasi un sorso su due se lo beve il Fisco. L’Italia su questo rappresenta un’anomalia, che provoca una serie di effetti negativi sul settore birrario e su tutta la sua vasta filiera. Infatti, nei pochi Paesi europei in cui la fiscalità sulla birra raggiunge livelli analoghi a quelli italiani, anche le altre bevande alcoliche sono soggette a una tassazione relativamente elevata. In Italia, invece, la birra è l’unica bevanda da pasto ad essere soggetta ad accisa, in proporzione pari a quattro volte quella Germania e tre volte quella della Spagna, mentre l’accisa sul vino è pari a zero e quella sui superalcolici inferiore alla media UE”.

Sul nesso tra pressione fiscale e occupazione nel settore, infine, una recente ricerca commissionata da AssoBirra all’istituto Format Research ha messo in luce come il 44% delle imprese birrarie si dica pronta ad assumere nuovo personale se le accise tornassero al livello pre – aumenti del 2013 (addirittura il 31% aumenterebbe fino al 10% la forza lavoro della propria azienda). E ancora, con accise al livello di Germania e Spagna (circa il 70% in meno rispetto a quelle italiane) il numero delle imprese birrarie che sarebbe pronta ad assumere nuovo personale sale addirittura al 60% (e il 40% aumenterebbe fino al 20% la forza lavoro della propria azienda).

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