Published on Ottobre 30th, 2014 | by Il Birrafondaio
0Birra, il settore rischia grosso. crollano i consumi estivi (-26%) e arriva il nuovo aumento delle accise.
Stretta nella tenaglia del calo dei consumi e dell’aumento della pressione fiscale, il settore della birra italiana, uno dei più dinamici a livello industriale ed artigianale del nostro Paese, rischia grosso.
Dopo un estate che, come vi avevamo anticipato qualche tempo fa, ha visto un crollo verticale delle vendite (-26% nei tre mesi più importanti dell’anno per il settore), ora aumenta la preoccupazione per i possibili effetti del nuovo aumento delle accise previsto per l’inizio del 2015.
Il tema è stato al centro del convegno “La filiera italiana della birra. Ridurre la pressione fiscale per continuare a creare valore e occupazione”, che si è svolto a Roma a Palazzo San Macuto alla presenza dei vertici di AssoBirra, Confagricoltura, Confimprese e Fipe-Confcommercio.
Un incontro importante dal punto di vista “politico”, dato che a prendere posizione contro il nuovo aumento della pressione fiscale è stata tutta la filiera produttiva della birra, a partire dagli agricoltori per arrivare fino agli esercenti. Una filiera che vale 3,2 miliardi, garantisce 136mila posti di lavoro e conta oltre 200 mila imprese, tra produttori, fornitori di materie prime e servizi e aziende della distribuzione e dell’ospitalità.
Ne è un esempio il peso che la birra ha sul fatturato dei pubblici esercizi: secondo dati Fipe-Confcommercio in media il 12% degli incassi vengono garantiti da questa bevanda, ma si arriva anche al 20% per i bar serali e addirittura al 43% per i bar/birrerie.
Quando si parla del mondo della birra, dunque, bisogna considerarlo nel suo complesso, data la sua capacità di porsi come “moltiplicatore” occupazionale: secondo i dati del Report 2013 di AssoBirra, infatti, ogni posto di lavoro nel settore ne genera oltre 24 lungo la filiera produttiva.
Questa serie di ragioni ha portato tutti gli elementi costituivi della filiera a Palazzo San Macuto per lanciare un allarme: con le nuove accise, ha spiegato il presidente di AssoBirra Alberto Frausin, la pressione fiscale si avvicina pericolosamente al 50 %: “Vogliamo chiedere al Governo Renzi di intervenire per bloccare il prossimo aumento delle accise del 1° gennaio 2015, che rischia di dare un ulteriore colpo gravissimo al nostro settore, portando complessivamente al +30% gli aumenti in 15 mesi (in pratica circa 1 sorso su 2 della nostra birra la berrà il fisco)”.
Dal convegno arriva una proposta che, nel clima politico attuale, può sembrare quasi una provocazione, ma che in altri Paesi europei ha dato risultati estremamente positivi: se a gennaio la pressione fiscale fosse ridotta, invece che aumentata, gli effetti sull’occupazione potrebbero essere consistenti. Attualmente infatti i nostri vicini hanno una tassazione sulla birra molto più bassa della nostra, in Germania è addirittura un quarto e in Spagna un terzo. Il modello inglese, poi, rappresenta benissimo il successo di interventi di defiscalizzazione di questo tipo: in UK proprio il settore birrario e dei pub ha ricevuto una forte spinta occupazionale nell’ultimo anno grazie ai tagli decisi dal Governo in materia fiscale. L’investimento di capitale è risultato in crescita del 12% , per 525milioni di euro complessivi, questo ha generato 4.000 posti di lavoro e 1.600 nuovi tirocini a fronte della scelta del governo britannico di agevolare il carico fiscale del settore nei bilanci 2013 e 2014. Il caso UK mostra una perdita minima di entrate per il Tesoro dovuto alle vendite di birra, ma di un aumento delle entrate fiscali dovute all’occupazione in crescita.
Il nostro Paese resta il mercato con i maggiori volumi di import di birra (pari a 6milioni e 175mila ettolitri nel 2013), complice anche una competizione fiscale sleale da parte di vari Paesi europei, fondata su norme nazionali poco rigorose sulla denominazione del prodotto (gradi plato) che permettono di commercializzare a prezzi molto competitivi (e con una tassazione più bassa) birre di minor qualità, che rischiano di mettere fuori mercato gli operatori italiani. “Anche per questo – afferma Frausin – è importante che il Governo Renzi intervenga, perché la scelta di questo ingiusto aumento va a colpire la competitività del nostro prodotto, che resta l’unica bevanda alcolica da pasto su cui grava l’accisa (nel nostro Paese non pagano le accise le bevande alcoliche che rappresentano il 65% dei consumi di alcol). La birra è la bevanda alcolica preferita dagli under 54 (secondo uno studio Ipsos-AssoBirra) e nell’80% dei casi viene bevuta “a pasto”, quindi in modo responsabile e secondo uno stile di consumo che definiamo “Mediterraneo”, ossia senza eccessi e in maniera consapevole”.
A confermare la ridotta efficacia di questa misura nell’ottica di un aumento delle entrate fiscali è uno studio di REF Ricerche, secondo il quale sarebbero appena 68 milioni di euro le entrate dello Stato effettivamente generate da questi aumenti, a fronte di un incremento atteso, di 177 milioni di euro (-62%). Un aumento delle accise di quasi 10 centesimi al litro porterà a un aumento del prezzo medio del prodotto di circa il +2%, con punte del +7% nel canale della grande distribuzione, e con una diminuzione delle quantità complessive consumate.
Davanti a questo scenario è partita nei mesi scorsi la campagna salvalatuabirra (www.salvalatuabirra.it) che in poco tempo è riuscita a raccogliere oltre 110mila firme contro l’innalzamento delle tasse e a lanciare una proposta (#stopaumentoagennaio) attorno alla quale continua a raccogliersi un movimento popolare spontaneo fatto di serate in cui raccogliere firme (in eventi pubblici, da Vinitaly a Cibus), sostegno da parte di grandi chef (Sadler, Uliassi, Bowerman) e di personaggi come Renzo Arbore, oltre a una intensa attività social (presenza su facebook e twitter).