Published on Marzo 13th, 2015 | by Il Birrafondaio
0Birra, Wsj: come il business delle multinazionali in Africa toglie spazio al cibo
Le grandi multinazionali del settore agroalimentare negli ultimi anni hanno “fatto la spesa” di terreni agricoli nel continente africano. Un fenomeno noto come “land grabbing”, al centro di un acceso dibattito a livello internazionale, che non risparmia il settore della birra.
A raccontarne alcuni dettagli è un’inchiesta del Wall Street Journal, centrata sugli agricoltori ugandesi sotto contratto con Sab Miller.
Il colosso della birra sta infatti stipulando un numero crescente di contratti con i contadini del Paese africano per la coltivazione di cereali adatti alla birrificazione, in particolare sorgo.
Il quotidiano statunitense racconta una storia esemplare di quanto sta accadendo: quella del 52enne Ephraim Opusi che, nel 2010, ha deciso di stringere un accordo con SabMiller e di sostituire nei suoi campi il mais con il sorgo.
Il risultato nel primo anno è stato positivo e da 5 acri il coltivatore ha ottenuto tre tonnellate di cereale, guadagnando circa 750 dollari. Convinto della validità dell’operazione, Opusi ha convertito negli anni successivi sempre più terreni a questa coltivazione. Ora però la situazione è cambiata, il raccolto non è stato così buono, sempre più agricoltori hanno seguito la sua strada e Opusi fatica a sfamare i suoi sei figli.
La decisione di un numero crescente di contadini di dedicarsi alla coltivazione di cereali per la birrificazione ha portato infatti i prezzi di altri prodotti agricoli a salire di almeno il 20%.
I milioni investiti dalle multinazionali della birra hanno dunque fornito maggiori entrate agli agricoltori che si sono “convertiti” ai cereali da birra, ma il risultato per i produttori non è stato quello previsto.
“Non c’è sufficiente terra fertile per entrambi i tipi di coltivazioni” hanno spiegato dal ministero dell’Agricoltura al Wsj “sempre più famiglie faticano ad avere cibo sufficiente”.
I sostenitori degli accordi, spiega la testata americana, sottolineano come i progetti legati alla produzione della birra siano concentrati in aree in cui c’è un surplus di produzione alimentare e che in cambio della loro scelta produttiva gli agricoltori ricevono “crediti” per l’acquisto di semi, pesticidi e fertilizzanti e hanno la garanzia di un acquisto ad un prezzo prestabilito di parte dei raccolti. “Nessuno” dicono da SabMiller “ è obbligato a legarsi contrattualmente e lasciamo semrpe la possibilità di consegnarci solo una parte della produzione”.
Negli ultimi anni l’attenzione dei grandi gruppi per il mercato africano della birra è andata costantemente aumentando, così come sono cresciuti i consumi. Secondo un’analisi della Deutschew Bank l’area Sub-Sahariana rappresenterà il 40% della crescita dei profitti per il settore nei prossimi dieci anni. SabMiller è oggi presente in 37 Paesi africani, dove vende oltre 20 milioni di ettolitri l’anno e nel 2013 per la prima volta il mercato africano a contribuito in misura maggiore rispetto all’Europa al fatturato del gruppo.
Attualmente sono oltre 20mila gli agricoltori ugandesi sotto contratto con SabMiller per la produzione di sorgo, un numero raddoppiato in tre anni. In Mozambico la multinazionale ha stretto invece accordi con 10mila produttori di cassava, utilizzata per la birra Impala.