Published on Aprile 24th, 2016 | by Il Birrafondaio
0Craft beer, Stone Brewing sbarca in Europa e Greg Koch racconta storia, filosofia e futuro della sua creatura
“A noi non è mai interessato fare birre che piacessero a tutti. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di creare birre più forti, caratterizzate e luppolate degli altri”.
“Noi non venderemo mai a una multinazionale del settore”.
“La birra può essere arte o prodotto”.
“La situazione ideale è quella in cui la produzione craft riesce a far soffrire l’industria”.
In queste poche frasi è racchiusa la filosofia di Stone Brewing, storico birrificio craft americano, oggi tra i primi dieci produttori artigianali negli Stati Uniti per dimensioni.
A pronunciarle è Greg Koch, che del birrificio è co-fondatore e Ceo, arrivato in Italia il 20 e il 21 aprile scorsi per presentare lo sbarco in Europa di Stone Brewing, che a giugno aprirà una nuova sede produttiva a Berlino. A Roma Koch ha incontrato giornalisti, operatori di settore e appassionati al Bir&Fud di Trastevere e noi del Birrafondaio non potevamo mancare.
Partiamo dalla prima affermazione, che ben riassume l’idea che c’è dietro alle scelte produttive di Stone Brewing. Il birrificio, ha spiegato Koch, nasce con la voglia di provocare una reazione, di cambiare la maniera in cui gli Usa erano abituati a concepire la birra. “Quando nel 1996 abbiamo cominciato a produrre le nostre birre, il loro stile e il loro gusto erano decisamente poco comuni e difficilmente apprezzati dal pubblico medio. La nostra idea era però quella di fare qualcosa che sicuramente non potesse incontrare il gusto di tutti ma che potesse conquistare l’amore di pochi. Un atto di ribellione in un mercato morto e appiattito. Venti anni dopo il tipo di birre che produciamo è diventato senza dubbio uno dei più diffusi e apprezzati non solo negli Stati Uniti, ma in tante parti del mondo”.
All’origine di tutto, ha spiegato raccontando un aneddoto, c’è stato l’assaggio di una bottiglia di Anchor Steam. “Ero a San Francisco e in quel preciso istante ho aperto gli occhi – ha detto il CEO di Stone – e ho deciso che dovevo mostrare alle persone un altro mondo, quello della birra artigianale”.
Da questa “illuminazione” è iniziata la lunga strada che ha portato Greg, insieme a Steve Wagner, che diventerà poi il primo mastro birraio del birrificio, fino ai successi di oggi e alla decisione di “invadere” l’Europa e in particolare la Germania, cuore della tradizione birraria del nostro continente. Un’operazione in grande stile, frutto di un lungo lavoro di preparazione, “prima di scegliere il sito di Berlino – ha spiegato Koch – abbiamo visto circa 130 aree in 9 Paesi”, e legata ad una precisa esigenza produttiva: “Le tipologie di birra che produciamo – ha affermato Greg – devono essere bevute entro un breve lasso di tempo dal momento in cui vengono realizzate, per poterne garantire la piena espressione aromatica e qualitativa”, condizione che non verrebbe pienamente soddisfatta se la birra provenisse dallo stabilimento californiano, visti i tempi necessari per il trasporto in Europa.
Aprire un birrificio a Berlino, nella “patria” delle birre lager, rappresenta sicuramente una scommessa per Stone Brewing: “Spesso mi viene chiesto cosa ci facciamo in Germania – ha raccontato Greg –. Solitamente, infatti, il pubblico tedesco non apprezza particolarmente le nostre birre, troppo amare. L’esperienza mi insegna, però, che se qualcosa non piace inizialmente allora stiamo facendo la cosa giusta!”
I locali sorgono in un’ex fabbrica di inizio Novecento, ed ospiteranno, oltre al birrificio, un “Bistrot & Gardens”, un ristorante da 700 posti immerso nel verde dove poter assaporare un menu ispirato alle culture di tutto il mondo ma realizzato con ingredienti locali provenienti da piccoli produttori del posto. Le ricette delle birre, invece, non cambieranno: continueranno ad essere utilizzati luppoli americani e, com’è noto, in generosa quantità. A pieno regime il birrificio sarà in grado di produrre 180mila ettolitri all’anno.
Nel corso dell’incontro non si è però parlato solo di Stone Brewing e dei suoi piani di sviluppo, ma piuttosto dell’evoluzione del mondo della craft beer negli Usa e in Europa.
“Quando siamo partiti venti anni fa negli Stati Uniti la birra artigianale rappresentava circa il 2% del mercato, oggi vale il 20%. Eravamo in una situazione simile a quella che si vive in Italia oggi dove, a fronte di una grande creatività e ricerca da parte dei birrai non si supera il 3% del mercato”. Le similitudini non si esauriscono qui, però, perché quello che accomuna questo mondo, andando oltre i confini nazionali, secondo Greg è “la voglia e la disponibilità a fare le cose insieme, il fatto che si creino rapporti di amicizia e di collaborazione e non si viva solo di competizione”. Non a caso nella sede di Berlino su 50 spine oltre la metà sarà dedicata a birrifici ospiti.
Inevitabile chiedere perché abbia scelto la Germania, uno dei paesi più “tradizionalisti” in ambito birrario, e se abbia valutato anche l’Italia come possibile sede per la nuova struttura: “Dopo aver visto oltre 130 possibili siti, abbiamo scelto quello di Berlino perché me ne sono letteralmente innamorato, aveva tutte le caratteristiche che volevo e allo stesso tempo rappresentava una sfida da punto di vista ‘culturale’. Per quanto riguarda l’Italia, Paese che mi ha conquistato, abbiamo valutato delle possibilità ma non abbiamo trovato quella giusta. Devo anche dire che molti dei miei amici e colleghi italiani mi hanno detto: sarebbe bellissimo se tu scegliessi l’Italia e allo stesso tempo mi hanno anche consigliato di non venire qui”.
Tra gli argomenti trattati non è mancato il riferimento alla politica adottata negli ultimi anni dalle grandi industrie del settore che, dopo aver provato a smontare la crescita della craft beer con campagne di comunicazione che miravano a denigrarne produttori e consumatori, hanno adottato una linea già diffusa in altri settori: se non puoi competere con i tuoi concorrenti, almeno sul piano della qualità, comprali!
Greg, pur ritenendo naturale questo processo, è noto per avere una posizione estremamente chiara sulla questione: “Non voglio neanche sapere quanto mi offrirebbero. non mi interessa” la sua, spiega, è una scelta di principio: il suo percorso è iniziato proprio in reazione alla birra imposta dal mondo dell’industria ed è convinto che l’obiettivo del mondo craft debba essere quello di “far soffrire” commercialmente i colossi del settore. Del resto, ha sottolineato “nessun mercato è veramente pronto per la birra artigianale” si tratta di creare una domanda e un interesse attraverso la qualità e la scelta di andare per la propria strada e “vendere birra a chi la vuole”.